Quanto dobbiamo a Marco Pannella? Quanto ci ha dato? Cosa gli abbiamo dato? Esitavo a scrivere “agonia”: perché di questo certamente si trattava, ma Marco in passato e anche di recente ci aveva puntualmente abituato alle sue stupefacenti resurrezioni. È stato un lottatore straordinario, speravamo che anche questa volta ce la facesse, ma ero sconvolto dalla cruda dichiarazione dei medici: “Non ci sono speranze”. (Ma un medico può permettersi di esprimersi, pubblicamente, così? Ne riparleremo, se volete). Poi é arrivata la notizia della morte. Ebbene, in queste ore amare, vorrei dire che se oggi, in Italia, abbiamo qualche legge a tutela dei diritti civili, lo dobbiamo alla personalità, alle battaglie, alla capacità di comunicare e di coinvolgere gli altri – qualità politicamente e umanamente eccezionali – di Pannella. È questo che mi dispera: sul piano umano perché è finita la vita di un uomo che è entrato come un protagonista nella nostra storia; sul piano sociale e politico perché, guardandomi intorno, nelle paludi di oggi non vedo emergere un degno successore. E l’ingiustizia qual è stata? Ciò che sto per dire entra nella mia filosofia del “non senso” della vita. Nel Paese che sogno, a Pannella avrebbe dovuto essere attribuito da lustri un ruolo istituzionalmente decisivo: presidente della Repubblica, capo del governo, quantomeno ministro della giustizia – superiore a qualsiasi altra personalità, come garante dei diritti dei cittadini. Ma è stato solo un sogno. I sogni giusti non si realizzano mai.
Cesare Lanza