Dal fruscìo delle pagine ai clic della vita frammentata

Dalla “malattia”della lettura a uno spaccato del Mondo: il discorso di Loiero al premio Socrate

(Il Quotidiano del Sud) Pubblichiamo il discorso tenuto da Agazio Loiero nel giorno in cui ha ricevuto, presso il centrostudi americano di Roma, il primo premio Socrate alla scrittura (Due dicembre 2019)

di AGAZIO LOIERO

Ringrazio prima di tutto la giuria e il suo presidente, Cesare Lanza, che ha inteso assegnarmi il primo premio Socrate per la scrittura, ringrazio il numeroso pubblico, presente malgrado il cattivo tempo che imperversa su Roma. Ringrazio anche il centro-studi americano che ci ha offerto questa splendida sala. Sono davvero lusingato dell ‘attenzione che mi è stata generosamente tributata. Confesso di non avere mai ricevuto, nei molti anni di impegno alla macchina da scrivere prima e al computer poi, un premio per le cose che ho scritto. Tanto che qualche volta, quando uno dei miei non molti lettori,particolarmente legato a me, notava che nella mia regione si consegnava un premio giornalistico, mi domandava come mai io non ne meritassi mai uno. Lo danno a tutti perché a te non lo danno mai, sibilava sdegnato il mio amico del cuore. Inutile dire che in questi casi mi schermivo con la frase di Longanesi, cui ricorrono solitamente gli sventurati. Essa suona, più o meno, così: “Che vuoi, i premi non solo bisogna rifiutarli, ma anche non meritarli “. Adesso che grzie alla vostra generosità,amici della giuria, questo, come dire, vulnus è stato riparato, sono certo che a Longanesi non ricorrerò mai più. Quando si dice la coerenza.

LA POLITICA CHE NON TI LASCIA SCAMPO

Parlerò, come abbiamo concordato con la giuria, in questo mio intervento, ovviamente da dilettante, di scrittura, della lingua e poco di politica, anche se sono convinto che quest ‘ultima, di tanto in tanto mi prenderà la mano, perché bisogna ammettere che, per chi l’ha praticata, la politica conserva una sua proditoria capacità d ‘insinuarsi furtiva tra le righe di un discorso, senza lasciarti scampo. Accennerò anche allo scenario internazionale e finirò per occuparmi del Paese, “che nel cuor mi sta”, che è l’Italia. Sono contento che questo premio sia intestato a Socrate. So di dire una banalità. Ho sempre amato il filosofo ateniese che, dopo l ‘insopportabile retorica dei sofisti si staglia all’improvviso in tutta la sua gigantesca dimensione dinanzi allo studente, al quale impone una nuova visione del mondo. Socrate fa domande di continuo – si autodefiniva un tafano, uno tra gli insetti più fastidiosi che si conoscano, perché – afferma – “una vita senza domande è una vita di ignoranza, priva di morale “. Ricordo che il professore di filosofia, con quel fascino discreto che quasi sempre, un tempo, emanava dalla sua figura, affermò in quegli anni ormai lontani che la vita e la morte di Socrate assomigliavano alla vitae alla morte di Gesù Cristo. Entrambi sono condannati a morte, dopo un sommario processo (quello a Gesù è stato un processo ancora più sommario di quello di Socrate) perché portatori di idee rivoluzionarie. Entrambi non hanno scritto nulla e sono stati i propri discepoli a tratteggiare la loro vita in opere immortali. Entrambe le morti sono apparse a posteriori “necessarie”. Albert Camus, del quale ricorrono quest’anno i 60 anni dalla morte, ha scritto: “Perché un pensiero cambi il mondo è necessario che cambi la vita di chi l’ha espresso”.

IL DEBITO VERSO LA LINGUA DI DANTE

Due sole parole sul libro. Si tratta di 15 profili di uomini pubblici non necessariamente politici, da D’Alema a Travaglio a Grillo a Crozza, il quale ultimo, come sanno gli amici qui presenti, è un comico che apprezzo moltissimo. Mi soffermerò dunque sulla scrittura, sul linguaggio, come ho detto, da uomo della strada. Esiste anche una concomitanza temporale che da italiano mi spinge in questa direzione. Nel 2021 faranno 700 anni dalla morte di Dante. L’Italia vive nel mondo anche grazie a una tradizione letteraria a cui il poeta fiorentino conferì un originario, invincibile impulso. Noi non ci rendiamo conto di quanto la lingua di Dante sia penetrata dentro di noi, senza che noi ce ne rendessimo lungo i secoli conto. Faccio solo un paio di esempi. Il verso “sanza ‘nfamia e sanza lodo” che noi rendiamo più con temporaneo in “senza infamia e senza lode” ha sempre rappresentato un marchio popolare che molto spesso affibbiamo ad una persona mediocre. Anche se il nostro poeta del cuore l’usò nel Canto III dell ‘Inferno in forma infinitamente più impietosa. Oppure il verso dell ‘inizio del Canto VIII del Purgatorio: “Era già l ‘ora che volge il disio” che gli italiani più eruditi utilizzano per tratteggiare la malinconia che infonde un giorno che muore, sono frasi di cui siamo debitori al genio di Dante.

LA LINGUA È LA SPIA DEL DECADIMENTO DELLA SOCIETÀ

Oggi quella lingua dolcissima, che molti stranieri ci invidiano, appare alquanto degradata. La società si è negliultimi decenni, sul piano culturale impoverita sotto molti aspetti e la lingua, come sempre capita, è la spia inconfondibile di ogni decadimento di una società. La prevalenza dell’immagine ha soggiogato negli ultimi decenni la scrittura. Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti. I dati Invalsi degli ultimi anni sono scoraggianti. Nella mia regione un bambino su due non è in grado di comprendere il significato di un testo scritto. Pochi leggono perché oggi non si contrae più la benefica malattia della lettura che i giovani della mia generazione contraevano in famiglia, se avevano avuto la fortuna di nascere in una casa fornita di libri, a scuola quando tale fortuna era loro per un destino ingiusto negata. Quell’alfabeto simbolico che si viveva in una solitudine appartata, ha cominciato a farmi compagnia fin dall’adolescenza. Avverto con leggera emozione ancora oggi, dopo tanti anni, quel fruscio delizioso della pagina sfogliata che un tempo interrompeva la maestà del silenzio della sera. Sensazioni che oggi arricchiscono la vita di una sparuta minoranza.Nei nostri giorni veloci è di moda un linguaggio semplificato. Arrivano messaggi sul cellulare in cui la “x” si utilizza al posto di “per”. La punteggiatura è praticamente bandita. E’ mutato lo stesso sistema di vita. E soprattutto è mutata la scuola.

L’USO DELLA MEMORIA APPARE OGGI BANDITO

Non esiste la scuola severa di un tempo che lasciava nella psicologia dello studente una traccia profonda. Lo stesso uso della memoria, strumento indispensabile in quell’epoca lontana, appare anch’esso bandito. Ricordo che il VI libro dell’Iliade, in cui Omero descrive il tenerissimo incontro sulle porte Scee di Ettore e Andromaca, accompagnata dalla nutrice che porta in braccio Astianatte l’ho imparato a me moria in terza media in una competizione ruggente a cui partecipava tutta la classe. L ‘Iliade, che era considerata un poema più difficile dell ‘Odissea, si studiava in terza, mentre questa in seconda. In quarto ginnasio una brava e lungimirante insegnante propiziò il primo incontro con Dante. Lesse e spiegò, terzina dopo terzina, in una classe soggiogata da un silenzio attonito, l’intero Canto XXVI dell ‘Inferno, quello di Ulisse. Si soffermò sul valore simbolico di quel viaggio senza ritorno. Lo collegò al supremo valore della conoscenza. Indugiò non poco su “l’orazion picciola “, su quell’inebriante desiderio di “nova terra”, che disvelavano nella mente della scolaresca uno spazio magico. Quei versi, introiettati in profondità, diventarono – ma non so dire se si tratta di una sensazione postuma – tappe basilari del mio per corso biografico.

IL VIZIO INCANCELLABILE DELLA LETTURA

Furono una spinta a capire di più, a osare di più, ad aprirmi al mondo. E soprattutto un grande stimolo alla lettura, che ha rappresentato, già fin da quei primi anni, un vizio incancellabile della mia vita, anche quando, successivamente, le giornate talvolta affannate della politica, avrebbero dovuto vietarla. La lettura anzi in certe occasioni difficili diventava spesso una terapia. Un “remedium solitudinis” un rimedio alla solitudine, come afferma un grande scrittore italiano, nel senso che ci spinge alla solitudine ma ci affranca dalla solitudine. Nella scuola d ‘oggi tutto sembra cambiato. I genitori talvolta corrono in aiuto del figlio e contro il professore malvagio ricorrono al Tar. Quando leggo una notizia del genere il mio ricordo -inteso nel senso più tenero dell ‘etimologia di questa paro la, che viene da corcordis che in latino, com’è a tutti voi noto in questa sala, significa cuore – il mio ricordo, dicevo, vola per un irrefrenabile contrappasso a quella lettera, così carica di gratitudine, che Camus scrisse al suo professore dopo aver ricevuto il premio Nobel per la letteratura. Nel mio piccolo ho avuto anch’io nelle tre classi della me dia un’insegnante leggendaria – si chiamava Olga ed aveva gli occhi azzurri la quale mi ha insegnato tutto, un po’ anche lo stile, che di solito non si trasmette, soprattutto mi ha insegnato a scongiurare il fuori tema che nella scuola del tempo non era un errore da sottolineare con la matita blu, ma un sacrilegio. Per un ragazzo nato in una casa senza un libro quell’insegnante insinuatasi di soppiatto nella mia vita finì per cambiarne il corso. Quel che ho fatto o non ho fatto nella mia vita lo devo a quel sentimento del mondo che quella donna riuscì a instillarmi dentro. Dipende di sicuro da questo se, benché morta da alcuni decenni, non passa mese che non compaia discreta nella mia memoria.

FRAMMENTI RANCOROSI E NUMEROSISSIME MENZOGNE SUI SOCIAL

Riprendiamo adesso il filo rosso della scrittura, intesa come valore, come valore nazionale. Nell ‘Ottocento, All’epoca dell ‘unità nazionale, in Italia se si eccettua la città di Roma e la Toscana, si parlava dappertutto il dialetto. Ciò non di meno la lingua italiana – meglio, quella minoranza colta che la parlava e la scriveva tramandandola – ha unificato il Paese più di Garibaldi e di Cavour. Voglio ricordare alle persone colte di questa sala che Dante nelle notti visionarie del suo lungo esilio, dell ‘Italia traccia nel Canto IX dell ‘Inferno addirittura i confini, quando ancora il nostro Paese era diviso in tanti piccoli stati, istituzionalmente insignificanti, anche se alcuni di essi distribuivano al mondo arte e finanziamenti. E ‘ un vero peccato che oggi che l ‘italiano lo parliamo tutti, si registri un forte degrado della nostra amata lingua. Basta andare sui social per rendersene conto. Un regno a parte dove si coglie una vita ridotta a frammenti, carica di tensioni, emotività, rancore. Stereotipi che si consolidano, menzogne innumerevoli che circolano indisturbate sui media. Il Washington Post ha certificato, nel senso che non sono state contraddette dall’autore, che in un anno e tre mesi Trump ha pronunciato 3004 bugie. Ne consegue che la storia nei prossimi decenni sarà scritta sulle menzogne. Da Trump uno sguardo sulla scena internazionale. Viviamo un momento difficile. Le democrazie sono diventate più deboli, spesso si tratta di democrazie apparenti. Il neoliberismo impera. Disuguaglianze drammaticamente in crescita. Metà della popolazione del pianeta non usa internet. Oxfam, una organizzazione benefica che ha sede a Londra, afferma che gli 8 uomini più ricchi della terra posseggono la ricchezza della metà della popolazione più povera del pianeta. L ‘uno per cento della terra accumula ricchezze quanto il restante 99 per cento. In 50 anni la popolazione è raddoppiata. Siamo oltre 7 miliardi e 600 milioni di persone. Entro il 2050 saremo 9 miliardi e 800 milioni. La domanda di cibo sarà il 46 per cento in più di quella di oggi. Il 17 per cento della popolazione (quella dell’Occidente, cioè noi) consuma l ’80 per cento delle risorse del pianeta. Centinaia di milioni di persone vivono con un dollaro al giorno.

CHI FERMERÀ QUESTA MASSA DI DISPERATI?

Ogni tanto questi uomini affamati sbirciano in qualche televisione di un pub quello che l ‘Occidente spende per il cibo del gatto e viene loro più forte il desiderio di far parte di questo paradiso. Chi fermerà questa massa di disperati? Sono convinto che, tempo 30 anni, i muri, le banche, le strutture borghesi dell’Occidente saranno travolti. Fare i conti con questa realtà difficile è un dovere etico ma anche una convenienza. Nessuno pretende che si accolgano tutte le persone che bussano alle nostre porte. Non saremmo in grado di farlo. Ma c’è bisogno di un’Europa in grado di fronteggiare con finanziamenti e investimenti adeguati questo mondo senza speranza. Bisogna tener conto che l ‘emigrazione di massa, ovunque abbia luogo, è un problema, quasi sempre è il prodotto della povertà. Anch’io sono stato, da giova ne, un emigrato. E chi lo è stato si porta dentro l ‘antica ferita anche se la vita è stata successivamente generosa con lui. Un regista italiano di qualità che vive nel Nord dell’Europa ha richiamato molti mesi fa alla mia memoria un verso di Orazio nel quale mi ero imbattuto all’università all’esame di latino: “Quelli che attraversano il mare cambiano il cielo, non l ‘anima”. Lo trovo ancora oggi struggente. Eppure anche su di un tema come questo l ‘Italia si divide. Non a metà. Ma 80 per cento contro 20 per cento. Quelli che comprendono il fenomeno dell ‘immigrazione in tutta la sua complessità sono solo il 20 per cento. Pazienza. Ancora una volta in forma consolatoria ci viene in soccorso Camus, il quale molti anni fa scriveva: “Il senso della vita è resistere alla moda del tempo “. Per onestà devo aggiungere che il fenomeno migratorio nel Sud dell’Italia è vissuto diversamente che al Nord.

IL MEDITERRANEO E L’ACCOGLIENZA UN LEGAME ANTICO

A parte il caporalato che da noi è quasi sempre gestito dalla criminalità, esiste spesso una certa condivisione del dramma dell ‘immigrazione. Un fenomeno altamente positivo come quello di Lucano e di Riace farei fatica a considerarlo ubiquitario. Difficile immaginarlo a Busto Arsizio. C ‘è una ragione. Il Mediterraneo è sempre stata una terra di profughi e l ‘accoglienza è stata praticata sempre, fin dalla notte dei tempi. Già molto tempo prima della nascita di Cristo, dietro le spoglie del viandante che bussava alla porta la leggenda voleva che si nascondesse un dio. Anzi, non un dio qualsiasi, ma addirittura Zeus. Esisteva un sistema codificato di regole che nei confronti di un forestiero sconosciuto si applicava alla lettera. A quell’uomo cencioso e macilento si offriva cibo, acqua, un vestito. E lo si invitava sempre a non restare sull’uscio, ma ad entrare. Ancora oggi una tradizione sedimentata nei secoli, si esprime dalle nostre parti con un verbo esortativo: “Trasiti, trasiti ” che si traduce “entrate”. Il motivo è semplice. Quella mitologia pagana dell ‘accoglienza, cui ho appena accennato, con l ‘avvento di Cristo ha assunto il valore di un precetto. “Ero forestiero e m ‘avete accolto” recita il Vangelo di Matteo. Lasciamo adesso da parte il passato e torniamo ai nostri giorni. Dunque un ‘umanità di sperata bussa alle nostre porte, un ‘umanità tanto disperata da compiere ogni settimana il gesto più disperato che si conosca: quello di spingere il proprio figlio di 4-5 anni a intraprendere da solo un viaggio dalla Libia fino alle nostre coste, su di un gommone stracolmo, dove non c ‘è più posto, un gommone che con molta probabilità può fare naufragio. Mentre tutto questo accade a Sud, un po ‘ più a Nord l ‘Occidente ricco si chiude in una solitudine globale. Una recente ricerca sforna numeri da capogiro: tra gli europei le famiglie costituite da una sola persona sono raddoppiate negli ultimi 50 anni. Milano è al 40%, Parigi al 50%, Stoccolma al 60%, se andiamo fuori Europa, per esempio a Manhattan siamo al 90%. Quanto pensate che quest ‘equilibrio del mondo sia destinato a durare? L ‘ho fatta lunga, scusatemi. Una battuta sulla politica di casa nostra. In questi ultimi anni alcuni solchi si sono accentuati. Tra città e campagna, tra centro e periferia, soprattutto tra Nord e Sud. Nel Nord si vive bene, nel Sud si arranca. Disoccupazione giovanile, spopolamento, povertà, dispersione scolastica sono diventati una piaga aperta. Quella Repubblica, una e indivisibile, vergata all’articolo 5 della nostra Costituzione, (di cui l ‘ex Presidente della Consulta, Cesare Mirabelli, che vedo in sala, ha scritto tante volte) la mitica unità, avvenuta grazie al sacrificio di tanti patrioti dell ‘800, che la ponevano dinanzi a tutto, anche alla stessa libertà, appare ormai in frantumi. Almeno per chi sa leggere la trama del nostro Paese. Se il governo non fosse caduto ad agosto sarebbe già operante l ‘autonomia differenziata che avrebbe disintegrato il fondo perequativo su cui si regge a stento l’intero Mezzogiorno. In tale disintegrazione la Lega ha avuto un ruolo decisivo, ma anche il Sud con le sue mafie e la sua classe dirigente spesso inadeguata ha fatto il resto.

I GIGANTI E I NANI DELLA POLITICA

Quando mi capita di pensare a quei patrioti, ma anche agli uomini del dopoguerra che elaborarono la nostra Costituzione, a De Gasperi, a Moro, a Nenni, a Mancini, a Togliatti, ad Amendola, a Saragat, a La Malfa e li metto a confronto con gli uomini del nostro tempo mi assale un fiotto di nostalgia, un sentimento che in genere non amo perché lo trovo decadente perché rivolto al passato. L ‘altra sera leggevo a letto in un libro una frase di De Gasperi, che ho sempre considerato un gigante della politica. La frase è la seguente: “Reggere uno Stato implica un forte rapporto con Dio”. Avete capito bene, ha detto con Dio. Lì per lì ho avuto un brivido. Eppure quella frase, per quanto forte, mi pareva congrua su quella bocca. Poi, per quei percorsi naturali della mente, che utilizza a proprio piacimento e spesso in forma coercitiva la categoria del confronto, ho provato a porre la stessa frase in bocca a un uomo di questa stagione politica, confesso di avere provato un profondo senso di smarrimento.