Nella Ue tutti truccarono i dati

Non c’è solo la Grecia ad aver presentato dati falsi ma anche Germania, viagra Francia e Italia

Berlino e Parigi non possono fare le prediche. Ecco perché
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Il rigorismo ideologico (e recessivo) teso al risanamento dei bilanci pubblici europei non deve far dimenticare che la Grecia non è stata l’unica a truccare i bilanci per aderire all’euro. Tra il 1996 e il 1997 moltissimi Paesi europei, purchase tra i quali le maggiori economie continentali, Francia, Germania e Italia, adottarono una creatività contabile straordinariamente fantasiosa.

In parole povere: ne fecero di tutti i colori per riuscire, nel 1997, a presentare conti pubblici con un rapporto deficit-Pil sotto il 3% come era stato stabilito da loro stessi nel 1992 a Maastricht.

Iniziamo dalla Francia. Nel 1996 prelevò dal fondo pensioni dei lavoratori della società statale France Telecom 37,5 miliardi di euro, incorporando la somma all’interno del bilancio pubblico. Un’operazione spericolata che permise a Parigi di ridurre in un colpo solo il deficit dello 0,5%. L’operazione venne approvata dalla Commissione europea e fece infuriare i rigoristi continentali del Nord Europa. Non solo: il 3 febbraio del 1997, Parigi decise di contabilizzare diversamente gli interessi sul debito pubblico in modo da spalmare su più anni gli interessi dovuti ai sottoscrittori. Sotto accusa finirono il ministro francese degli Affari economici De Silguy e il direttore dell’Eurostat, il francese Yves Franchet, il primo perché aveva architettato i due escamotage, il secondo perché li approvò.

La Germania non fu da meno. A placare gli animi ci pensò il cancelliere tedesco Helmut Kohl che doveva anche farsi perdonare i suoi di trucchetti. Nel 1995 la Germania, infatti, fece uscire dal perimetro dei conti pubblici i debiti della Kreditanstalt für Wiederaufbau (KfW) che è una specie di Cassa Depositi e Prestiti che, ancora oggi, ha 430 miliardi di debiti che sono fuori dal bilancio tedesco (a differenza di una parte dei debiti della nostra Cassa depositi e prestiti, Cdp). Se venissero contabilizzati farebbero schizzare il rapporto con il Pil a ben oltre il 97%. Non solo: l’allora ministro delle Finanze, Theo Waigel, iniziò un braccio di ferro con la Bundesbank costringendola a rivalutare le riserve in dollari per ben 12 miliardi di marchi. Ma non è ancora finita: il paese che oggi fa la morale a tutto il resto d’Europa, negli Anni ’90 rinviò il calcolo degli interessi sul debito pubblico della ex Germania orientale che, insieme con la vendita di beni demaniali, e, soprattutto, insieme alla finta privatizzazione della Deutsche Telekom, i cui titoli vennero parcheggiati presso un ente pubblico, risollevò il morale dei conti pubblici di alcune decine di miliardi di marchi. Ma siccome i tedeschi non erano (nemmeno loro) certissimi che i loro trucchi sarebbero stati approvati dall’Eurostat, Waigel si produsse in una famosa dichiarazione: la Germania non avrebbe fatto guerre sante per ottenere dai partner il «tre-virgola-zero» del deficit.

Poi c’è l’Italia. Nel 2000 venne pubblicato il noto rapporto di Gustavo Piga che segnalava come, nel 1995, un Paese (che non citò mai) aveva chiuso un’operazione di swap con una banca d’affari (anche questa rimasta anonima) che gli permise di guadagnare sul proprio stesso debito. Come? Quel Paese aveva emesso un bond denominato in yen e siccome lo yen si era svalutato, l’emittente aveva un guadagno latente sul proprio bond. L’accordo consisteva nel fatto che la banca d’affari pagava subito il valore dell’obbligazione in cambio dell’impegno di incassare l’anno successivo, cioè alla scadenza, l’importo versato più un certo interesse. Un anticipo contanti, in parole povere. Quel Paese era l’Italia mentre sulla banca d’affari ci sono ancora dubbi: c’è chi dice che fosse la Jp Morgan mentre altre fonti la identificano nella Goldman Sachs. Insieme ad altri artifici contabili (mitica fu la «tassa sull’oro»), quello swap permise all’Italia di evitare un umiliante rinvio del suo ingresso nell’euro, che pure i tedeschi, già allora innamorati della loro immagine rigorista, auspicavano.

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