Claudio Ranieri e il suo Leicester

Una favola italiana più che inglese

Claudio RanieriÈ avvincente il campionato italiano, con la superba rimonta della Juve, la tenuta anche emotiva del Napoli, il ritorno prepotente della Roma. Ma – lo ammettiamo – è stato fortissimo, ieri pomeriggio, il richiamo del telecomando per andare, una, tre, dici, cento volte in Inghilterra. Prima per la vittoria del Leicester e poi per la risposta del Tottenham. Il risultato è che la squadra di Claudio Ranieri continua ad avere sette punti di vantaggio, a cinque partite dal termine. Un passo avanti, un altro mattone, verso un possibile trionfo. Ma addirittura al di là del risultato del campo, quello che ha colpito di più in questo appassionante pomeriggio di calcio sono state le lacrime di Claudio Ranieri, un signore della panchina, uno che potrebbe azzerare qualsiasi motivazione dei suoi più celebrati colleghi.
Dopo un campionato del genere, con una squadra che lo scorso anno lottava disperatamente per non retrocedere, come potrebbero sentirsi stimolati Guardiola col Manchester City, Mourinho col Manchester United, o Conte col Chelsea? Troppo facile fare una grande stagione con un grandissima squadra. La vera impresa è farla così, con il Leicester, per intenderci come se il Sassuolo comandasse il campionato italiano. Sì, come il Sassuolo, che nel 2008 vinceva il campionato di serie C, anticipando un anno il Leicester, che ci sarebbe riuscito solo più tardi.
Insomma, sono tanti i motivi che spingono tutti, in Inghilterra e in Italia, a diventare improvvisamente tifosi del Leicester di Ranieri. Perché il Leicester è la dimostrazione, tangibile, che nel calcio esistono ancora le favole e non è detto che possano provare a vincere solo i club classici e noti. Ma si può fare il tipo per Claudio Ranieri anche per la sua capacità di commuoversi, per quelle lacrime asciugate sul campo, per la naturalezza nell’affrontare le interviste di rito con un sorriso accennato, senza presunzione e tensione, ammettendo di essersi emozionato. “Sì, che male c’è ad emozionarsi?”. L’unico rischio è di far apparire banali tutte quelle facce tristi e tirate che si allenano ad una professione stressante. E troppe volte ad un ghigno sprezzante.

di Alessandro Vocalelli, Corriere dello Sport