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Per far rientrare i nostri giovani dall’estero servono meritocrazia e stipendi dignitosi

Maria Corbi: Ogni inizio anno ci dicono che questo sarà un anno migliore, che per i giovani ci saranno nuove opportunità, figuriamoci quando poi si è in campagna elettorale. Io ho 29 anni, sono laureata con lode in legge, sono diventata avvocato, ma ad oggi guadagno 1600 euro al mese a fronte di giornate piene di lavoro in uno studio che offre i suoi servizi sul web e che, per dirla tutta, assume le difese dei clienti «un tanto al chilo». Noi avvocati siamo semplice manodopera, come in catena di montaggio. Non era il mio sogno. Il mio sogno è avere un’altra opportunità in Italia senza dover cercare fortuna all’estero, come fecero i bisnonni in Argentina. Qui anche per lavorare da libera professionista in uno studio autorevole occorre avere santi in paradiso. O avere il pedigree giusto. Tutti i lavori elitari si raggiungono per cooptazione o per segnalazione, un malcostume diffuso in Italia, fin dalle scuole dove chi può si sceglie la sezione e gli altri si arrangiano. Ma cambierà mai questa cultura? Io sono sfiduciata. I miei amici che hanno scelto di andare all’estero adesso sono molto più gratificati di me. Io non voglio partire, qui ho la famiglia, gli affetti. Ma non voglio neanche spegnermi in questa palude. Angela, Roma. Cara Angela, che devo dirti? Sono i primi giorni dell’anno e vorrei essere rassicurante, dirti che devi resistere, che le cose stanno cambiando, seppure lentamente, che il merito inizia ad essere una parola conosciuta, e soprattutto praticata. Ma so che i giovani vivono ogni giorno sulla propria pelle questa mancanza di equità, questa mancanza di corrispondenza tra le parole e i fatti. E quindi mi associo al tuo augurio, al tuo sogno, sollecitando chi ci governerà a mettere testa, cuore, soldi, determinazione in questa battaglia. All’Università Cattolica, un gruppo di ricercatori ha «creato», insieme al Forum della meritocrazia il primo indicatore quantitativo di sintesi che misura lo «stato del merito» in un Paese. E secondo il rapporto 2016 occupiamo l’ultima posizione nel ranking che mette a confronto 12 Paesi europei. Tra poco avremo i dati 2017. Ma la percezione è che poco sia cambiato. La speranza? Forse potrebbe venire dal rientro dei giovani costretti ad andare all’estero per trovare uno stipendio che gli consenta di vivere dignitosamente. Se la politica li ascoltasse e desse loro un’occasione forse riusciremmo a riempire la parola «merito» di contenuti che non siano solo propaganda elettorale. Maria Corbi scrive per «La Stampa» dal 1994, dove si occupa di attualità e costume raccontando grandi fatti di cronaca, personaggi e tendenze. Ultima missione: la Brexit. Convinta garantista si batte per una giustizia che sia tale. È laureata in Economia (anche se ancora si chiede come mai), ha scritto diversi libri, ha due figli maschi di 17 e 19 anni, due cani e tre gatti.

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