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«Noi, reclutati in tutto il mondo»: le storie dei giovani italiani all’estero

Dall’Australia a New York, passando per l’Arabia Saudita: gli italiani apprezzati nel mondo

Carriere e competenze italiane d’esportazione
Dall’Australia a New York, passando per l’Arabia Saudita. L’impegno, la competenza e la versatilità sul lavoro degli italiani sono apprezzati in tutto il mondo: ecco tre storie di connazionali «in viaggio» che hanno trovato all’estero un pieno riconoscimento al proprio valore. Sono stati scelti da Bill de Blasio, sindaco di New York; dall’avveniristica King Abdullah University of Science and Technology di Gedda, in Arabia Saudita, dove studenti di oltre sessanta nazionalità si preparano a disegnare il futuro; e dal governo australiano, che ha costruito un team internazionale specializzato affidandogli la delicata missione di studiare, e salvare, la barriera corallina.

Valentina che fa ricerca in Arabia
Nella sua stanza nell’appartamento «molto, molto grande» che condivide con altre due ragazze, ha appeso il calendario con le foto di Leonardo, Nicoletta ed Emma, i suoi nipotini. Una giornata tipo è semplice: quando esce dal laboratorio va a giocare a pallavolo. E poco importa che fuori dal campus non possa guidare l’auto e debba indossare l’abaya, la tunica nera islamica che lascia scoperti solo testa, piedi e mani, o che in ateneo debba rispettare un dress code che esclude minigonne e canottiere. «In fondo anche in un laboratorio italiano non potrei mai indossare sandali o abiti che mi scoprano le gambe, per evitare problemi se cade un reattivo».
Valentina Carboni, nata a maggio di trentun anni fa a Castelplanio, 3.549 abitanti in provincia di Ancona, è ben felice di mettere a disposizione della King Abdullah University of Science and Technology i suoi titoli di studio: laurea e specializzazione in Chimica a Camerino (entrambi con lode), dottorato e post doc a Bologna più i sette mesi trascorsi all’Université de Montreal come visiting research student. Anche se si è dovuta trasferire a Thuwal, un villaggio di pescatori a un’ora di macchina da Gedda, alle porte della Mecca.
«Lo confesso, sono inqualificabile: ancora non sono andata sul Mar Rosso, ho fatto soltanto una bellissima gita nel deserto, dopo un anno e mezzo che stavo qui», ci racconta via Skype. Il suo post doc in Arabia Saudita finirà in autunno, ma spera di prolungarlo di un altro anno. «Se tornerò in Italia? Non so, mi piace pensare che tornerò in Europa, ovunque va bene». Con lei, in ateneo, ci sono altri cento italiani. «E sono bravissimi, più di me! Qui però amo soprattutto il fatto di potermi confrontare con persone provenienti da tutto il mondo: cambiare prospettiva continuamente ti apre tantissimo la mente». (Elvira Serra)

Maria Vittoria nella squadra del sindaco di New York
Quando gliel’hanno detto, con quel pizzico d’informalità che piace tanto agli americani, Maria Vittoria stentava a crederci. «Io nello staff del sindaco di New York, Bill de Blasio, con un contratto di assunzione permanente? Non può essere vero, sto sognando». E invece per Maria Vittoria Gronchi, 24 anni, nata a Pontedera, in provincia di Pisa, laurea alla Bocconi in Economics and Management, master e specializzazioni alla Northwestern University a Chicago, la chiamata del sindaco della Grande Mela non era affatto realtà virtuale e neppure precaria. In pochi giorni si è ritrovata a lavorare nel settore della sanità e delle finanze pubbliche in una delle sedi del municipio di New York. E anche a seguire, come accaduto ieri, il «super-sindaco» durante il suo lavoro.
«De Blasio è una persona eccezionale — spiega Maria Vittoria — e ha un modo totalmente diverso di fare politica da quello che conosciamo in Italia. Con la gente è sempre diretto, cerca di capire i problemi delle persone e di risolverli». La giovane bocconiana è rimasta colpita anche dalla «tecnica» usata dal sindaco. «Porta con sé i vari collaboratori specializzati nelle diverse discipline — spiega —, ascolta le richieste delle persone, chiede a noi di calcolare costi ed eventuali difficoltà operative e poi, se tutto è ok, comunica ai cittadini se la cosa si può fare o meno». Insomma, una sorta di giunta comunale itinerante ma con la costante presenza del pubblico. «Che è una delle cose più belle del mio lavoro», annuisce Maria Vittoria. Il futuro? Un rientro temporaneo in Italia per conseguire un altro dottorato e per stare un po’ con i genitori e i tre fratelli. Poi di nuovo Oltreoceano in attesa di rinnovare il visto. L’Italia è ancora nel cuore di Maria Vittoria. «Ho un sogno: servire la mia nazione, magari anche all’estero mettendo a frutto le tante cose che ho imparato qui negli Stati Uniti», dice con il sorriso di chi ce la può fare. Sempre che il sindaco de Blasio non si impunti perché quell’italiana, che ha assunto con entusiasmo, non resti a New York per un nuovo sogno americano. (Marco Gasperetti)

Andrea protegge la barriera corallina
È l’unico italiano fra gli oltre 200 scienziati che studiano la barriera corallina per conto dell’Australian institute of marine science (Aims) a Townswille, una città della costa nord-orientale, nello Stato del Queensland. Si chiama Andrea Severati, ha 49 anni, ed è un biologo romano che si è laureato con una tesi sperimentale congiunta fra gli atenei «Tor Vergata» e «Sapienza». Dopo aver lavorato in Italia, come allevatore di pesci ornamentali tropicali e progettista per alcuni nostri grandi Acquari, si è trasferito in Australia nel 2007. Il primo incarico è stato di curatore dell’acquario di Townsville e poi, dopo un anno a tempo determinato, è arrivata l’assunzione all’Aims che è una struttura che fa capo al governo australiano.
«Ha creduto in me — spiega Severati — e mi ha fatto da sponsor con il dipartimento immigrazione». Il biologo oggi studia il reef che «è cambiato e, presto, potrebbe avere un aspetto diverso perché è sottoposto a fortissime pressioni». Per le ricerche, l’Aims dispone di due navi oceanografiche e un sea simulator, ovvero un grande impianto marino da 40 milioni di dollari australiani. «Cerchiamo di capire la reazione alle pressioni che subiscono i coralli — dice — e come gestire il cambiamento climatico: finora abbiamo fatto oltre 150 esperimenti». Gli «imputati» che il suo team sta indagando sono il surriscaldamento globale che, negli ultimi due anni, è responsabile dello sbiancamento dei coralli e i fenomeni atmosferici come i cicloni. Infine, l’invasione delle cosiddette Cots: «Delle stelle a corone di spine che sono responsabili del declino di circa il 40% dei coralli nel nord del reef: ci sono sempre state, ma ora stanno aumentando e sono più aggressive». Il lavoro di Severati, però, ha implicazioni anche per il futuro dell’uomo:«L’80% dell’ossigeno che respiriamo viene prodotto in acqua e ora è in pericolo: non possiamo fare finta di niente». (Alessio Ribaudo)

di Marco Gasperetti, Alessio Ribaudo, Elvira Serra, Il Corriere della Sera

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