è Nestlè Italia, che ha siglato il primo accordo sindacale nel 2012, hanno fatto da apripista nell’introdurre lo smart working nel nostro paese e tracciano un bilancio positivo dell’esperienza. Andrea Frollà Roma. La corsa allo smart working da parte delle grandi aziende prosegue. È presto per parlare di un vero e proprio boom italiano, ma i segnali positivi ci sono. Ed è una buona notizia per tutto il Paese, che da una piena diffusione dello smart working potrebbe ottenere benefici per oltre 13 miliardi di euro secondo le stime del Politecnico di Milano. Naturalmente ci sono realtà che si sono mosse con largo anticipo e gruppi che si stanno organizzando in questi mesi. Proprio il doppio punto di vista dei pionieri e degli entranti può aiutare a capire meglio quanti, dove e quali siano i vantaggi di un’adozione diffusa. Tra le aziende che hanno fatto da apripista rientra a pieno titolo Nestlé Italia, che ha siglato il primo accordo sindacale nel 2012. Un’intesa che ha avviato un percorso sperimentale verso la flessibilizzazione degli orari: «Il progetto è nato su input dei bisogni espressi dai dipendenti, soprattutto dalle donne, ma si è poi evoluto come uno strumento di benessere per tutti — racconta Chiara Bisconti, responsabile benessere e inclusione di Nestlé Italia — La conciliazione degli orari e dei bisogni aiuta il lavoratore e al tempo stesso garantisce l’avvicinamento dell’azienda ai concetti di meritocrazia, lavoro per obiettivi e coesione dei team». L’ingresso nell’era dello smart working è stato guidato dai responsabili delle risorse umane, ma ha avuto una spinta fondamentale dai vertici aziendali. «Un forte coinvolgimento del top management è decisivo, così come decisiva è la condivisione degli intenti con i sindacati», sottolinea Bisconti, che evidenzia anche la necessità di mantenere un approccio flessibile di fronte alle necessità dei dipendenti. La bontà del modello scelto da Nestlé è testimoniato dai numeri: 35mila giornate di lavoro agile fruite con una media di 3 giorni al mese, 2mila persone coinvolte e tasso di adesione vicino al 100%. Più recente ma altrettanto soddisfacente è stata l’esperienza di Axa Italia, partita comunque prima di altre realtà con un progetto pilota nel marzo 2016. La messa a regime dello smart working nel corso del 2017 ha incontrato un tasso di adesione elevato (81% per i funzionari, 56% per gli impiegati), che si è tradotto in un miglioramento della produttività, della motivazione e di altri indicatori. «Abbiamo fatto di questa nuova modalità di lavoro un fattore di attrazione dei nuovi talenti e di miglioramento della vita dei dipendenti. Due vie di sviluppo essenziali in un settore in grande trasformazione come il nostro — commenta Maurizio Di Fonzo, direttore Risorse umane, organizzazione e change management di Axa Italia — Più fiducia, meno controllo e orientamento al risultato: l’impatto che lo smart working ha sulla vita lavorativa va oltre la possibilità di rimanere a casa». Attualmente su 1466 dipendenti eleggibili sono più di 920 gli smart worker, con una media di una giornata fuori ufficio a settimana. A garantire la buona riuscita del progetto è soprattutto il monitoraggio costante dell’esperienza dei lavoratori: «Abbiamo immaginato fin da subito un sistema aperto ai feedback. Questo ci consente di avere un quadro chiaro dell’implementazione e di valutare al meglio l’eventuale introduzione di misure specifiche». Nel corso degli ultimi anni moltissime aziende hanno seguito la strada tracciata in Italia da Nestlé, Axa e dagli altri pionieri. E da Hera a Italdesign passando per A2A e Ferrero, giusto per citare alcune delle new entry più recenti, il numero continua ad aumentare (insieme al livello di soddisfazione). Negli ultimi ingressi rientra anche Maire Tecnimont, gruppo attivo nel settore ingegneristico, tecnologico ed energetico, che ha ribaltato l’approccio adottato finora. Non ha cioè previsto un numero massimo di giornate in modalità smart working, ma ha fissato un giorno obbligatorio a settimana di presenza in ufficio. L’obiettivo è coinvolgere almeno mille dipendenti una volta a regime. «Non ci siamo focalizzati sulla conta dei giorni ma sulla creazione di una modalità innovativa ed efficace di lavoro — spiega Franco Ghiringhelli, senior vice president Risorse umane, organizzazione e Ict di Maire Tecnimont — Abbiamo siglato l’accordo sindacale lo scorso settembre e già stiamo avendo dei ritorni estremamente positivi, sia in termini di clima aziendale sia di produttività». Si calcola che il numero degli smart worker in Italia abbia raggiunto oggi le 305mila unità.
La repubblica