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“Hic Sunt Leones”: Stefano Lorenzetto racconta venticinque personaggi veneti. Evviva il merito

di Stefania Miccolis

Hic sunt leones, sickness titolo del libro di Stefano Lorenzetto (ed. Marsilio, health 2013) ed espressione latina con cui i romani indicavano sulle carte geografiche i territori ancora inesplorati dell’Africa. E i leoni si riferivano sia al genere di felini sia ai popoli dell’Africa che con coraggio avevano combattuto contro i romani. Lorenzetto riporta questa espressione alla sua terra, treatment il Veneto -«Quel poco che so del Veneto coincide con tutto ciò che so della vita» – e raccoglie venticinque storie di personaggi che lottano e vivono rimanendo nella Serenissima come leoni.
Racconti sotto forma di intervista o interviste che diventano racconti; i personaggi vengono fuori piano piano attraverso le domande di Lorenzetto, ed anche se l’autore sottolinea con senso quasi di orgoglio che appartengono tutti al Veneto, il lettore di qualsiasi regione può comprendere e partecipare alle loro storie straordinarie. Due sono le strade che si possono percorrere: o si rimane statici con la sola consapevolezza della propria mancanza di coraggio, la scarsa sfrontatezza o la scarsa tenacia con cui questi personaggi hanno vissuto vivono e continueranno a vivere; o si viene provocati dinamicamente, e si usufruisce degli insegnamenti che si possono ricavare, acquistando forza. Molti di questi personaggi pur avendo fatto cose eccezionali sono sconosciuti, bisogna essere molto informati per poter aver sentito parlare di loro. Storie di profonda umanità, alcune di valore, altre proprio no, ma soprattutto di pazienza, pazienza unita a volte a rabbia. Storie incredibili che commuovono, perché portano tanta tristezza, o che ci fanno ridere, perché piene di ironia, che ci fanno sbalordire, ed anche stizzire, o anche fantasticare, che ci fanno paura, storie curiose e particolari, ma che sempre e comunque aiutano a riflettere e comprendere ancora meglio la società nella quale viviamo. Erano storie inesplorate, come le terre dell’Africa; Lorenzetto, nella sua lunga carriera di giornalista, le ha scovate e scelte. Riguardano persone che lo hanno colpito soprattutto per la loro umanità: l’autore comincia prima con quattro figure notevoli che hanno segnato la sua vita lavorativa; poi prosegue con coloro che l’hanno intersecata : “da tutti ha imparato qualcosa e da alcuni molto, moltissimo”.
Il primo, un prete, Don Pertegato, il direttore del giornale Verona Fedele su cui Lorenzetto scrisse a sedici anni il suo primo articolo; il prete verrà ricordato più per la sua bontà che per la sua scrittura. Poi ecco subentrare Cesare Marchi che Indro Montanelli definisce “buono”; un amico conosciuto per una rubrica da inserire in un giornale. Colpisce una frase molto bella, condivisibile per chi ha amato il proprio padre, in una lettera che Marchi scrive a Lorenzetto quando lo perde: “Credo che maggiorenni si diventi no a 18 anni ma quando si perde il padre”. Terzo della lista il caro Antonio Grigolini allevatore di pulcini “che a un certo punto della sua avventura imprenditoriale diventò editore [e assunse Lorenzetto all’Arena quotidiano di Verona] e riuscì nella sbalorditiva impresa di mettere d’accordo Silvio Berlusconi e Carlo de Benedetti. Il quarto, Sergio Saviane, “cronista di razza e inarrivabile scrutatore di umane debolezze” che aveva lavorato per trent’anni all’Espresso e chiamava Berlusconi “il nanetto di Arcore”. “Inventore di neologismi e di calchi ricavati dal dialetto”, è per merito suo se Lorenzetto ha pubblicato con Marsilio una dozzina di libri. E al suo paese Castelcucco lo chiamavano “el santo Saviane”, in quanto santo bevitore, e amico di tutti cercava di dare una mano al prossimo. Poi ecco delinearsi gli altri personaggi uno dopo l’altro e probabilmente il lettore sceglierà la storia che più gli piace. Personalmente non ho dubbi sulla più curiosa e particolare e poetica, quella del “pianista fuori posto”, Paolo Zanarella. “Quando suono, per me il resto del mondo tace”. Ha imparato tutto da solo, per passione, suona per tutta Italia e porta dietro con sé un pianoforte kawai a mezza coda. Non suona solo nelle piazze fra la gente che rimane colpita, ma anche per gli asini o dentro a un bosco o per un una cattedrale abbandonata da anni. Per la famiglia è normale che suoni in luoghi impensabili, e la figlia studia al conservatorio. “La musica serve a vivere”; “La musica è divina”. Poi non può non risultare simpatico Vincenzo Pipino, il Robin Hood veneziano, ladro gentiluomo (che ha svuotato i piani nobili dei palazzi sul Canal Grande, sempre attento a non rovinare le tele del Canaletto e l’argenteria rubata) e che rubava nei musei per ridare indietro le opere d’arte in cambio di compensi. Oltretutto le proteggeva anche non facendole mai uscire dalla Serenissima: “ ho solo svuotato le tasche a chi aveva rubato prima di me” dice. Ecco la storia carina di Gianfranco Marcon, l’uomo delle stelle, metà scienziato, metà alchimista. Il padre fondò l’azienda nel 1948. Ateo, non crede agli oroscopi, “la scienza dei cretini”. Padrone della Marcon Telescopes, la più rinomata industria artigiana del ramo spaziale esistente al mondo, la prima fondata in Italia e ubicata in una chiesa.
Poi tre figure che si avvicinano più alla condizione degli italiani cervelli sottopagati o che devono inventarsi un lavoro. Il vero inventore di google, Massimo Marchiori: “Internet è l’acqua del terzo millennio”. Un genio matematico, il quale incredibilmente pensa che le lettere siano più importanti della matematica: “I numeri parlano alla mente, le lettere al cuore”, “E senza il cuore non vai da nessuna parte”. Ha lasciato 10.000 dollari al mese del Massachusetts Institute of Technology di Boston, per ritornare in Italia come ricercatore a 970 euro al mese “perché le soddisfazioni non vengono dai soldi” e si “lavora per lasciare qualcosa di bello al mondo”. E così Fabrizio Tamburini, lo volevano al Massachusetts Institute of Technology di Boston, lo hanno proclamato il nuovo Marconi astrofisico perché è riuscito a moltiplicare con la teoria del fusillo il numero dei canali di trasmissione, ma non ha brevettato la scoperta e continua a lavorare come precario all’Università di Padova: rimane lì dove ha insegnato Galileo Galilei. E infine quel giovane, Davide Bettoluzzi, che non trovando lavoro, ha deciso a venticinque anni con la sua donna di tornare alle origini e di fare il pastore per essere a contatto con la sua terra e le sue pecore, ed è contento, “perché fare lo zingaro gli dà un senso di libertà”.
Non mancano quelle storie che ti fanno sperare in un mondo migliore. Il signor Silvano Pedrollo, leader mondiale di pompe idrauliche per uso domestico, pensa ai più poveri e bisognosi, apre pozzi di acqua in Africa o in India, nei paesi in cui hanno bisogno, senza farsi pagare. Ha capito che “Sotto il cielo nulla è più importante dell’acqua” , che “l’acqua è in pericolo” e soprattutto che “fare o non fare il bene non è una cosa che possiamo decidere noi: si fa e basta”. Anche Giuseppe Ongaro, si prodiga per il prossimo: lui che era un tagliatore di teste ha deciso invece di far lavorare i detenuti nella sua azienda Futuro Srl, proprio nel carcere di Verona, perché ha capito che “un uomo lasciato senza lavoro muore ”, ed è convinto che “si debba lavorare per il bene della società”.
E non mancano le donne coraggiose: la dottoressa Giovannella Baggio primario di medicina generale nell’azienda ospedaliera di Padova che ha fondato il centro studi su salute e medicina di genere, oltrepassando “la sindrome del bikini”, per cui si studiavano solo gli organi dell’apparato riproduttivo. Ed Anna Benedetti: «Mi sono sentita un leone, fortissima», quando ha deciso insieme al marito Gianluca Anselmi di far nascere Lucy, una bambina affetta da una sindrome rara, che porta via una parte di cervelletto: hanno avuto una luce intensa quando hanno deciso di tenerla, e Lucy resiste anche lei come un leone.
Altre due storie che commuovono: Un padre, “papà bello”, che accompagna il figlio autistico Franco Antonello in 123 giorni di libertà in giro per gli USA e l’America Latina: ne è nato anche un libro “Se ti abbraccio non aver paura” di cui sono state fatte ben quattordici edizioni. Poi c’è chi ha subito due alluvioni nella provincia del veronese, come Orio Grazia, con una figlia affetta da patologia rara, ma che è riuscito a salvare dal fiume in piena, perdendo comunque la casa costruita proprio a misura per lei. Della storia è nato un libro “Il tempo dell’umiltà”.
Incuriosisce e commuove anche la storia di Daniela Manzini Jacuzzi la moglie di uno degli eredi del fondatore della Jacuzzi; il marito è disabile e la Jacuzzi è stata inventata proprio per alleviare le sue sofferenze. Viene raccontata tutta la incredibile storia e di come la Jacuzzi abbia nel tempo perso la funzione di prodotto popolare destinato alla salute pubblica, per diventare un lusso per ricchi. Incuriosisce molto la storia di Lino Pellegrini, “Bravo ragazzo”, “ stupido fascista” come lo definiva Curzio Malaparte, e giornalista, viaggiatore e bell’uomo, alla cui pelle non ha mai badato, però badava alla pelle degli ebrei, cercava di salvarli. Assunto come giornalista al “Popolo d’Italia”, dopo la guerra nessuno più l’assunse, solo Il “Clarin” giornale argentino in cui aveva lavorato il padre. Ha conosciuto nei suoi viaggi molti personaggi importanti, fra cui il Che, che definisce “non un delinquente”, ma “un utopista”. E c’è pure Arrigo Cavallina fondatore dei Pac (Proletari armati per il comunismo) che a 67 anni è diventato un altro uomo, crede in Dio anziché in Marx, va a messa ma non si considera buono. Con i pac erano “alla periferia del marxismo e ai confini dell’anarchismo”, ma poi, anche se non si considera un terrorista ed ha scontato undici anni di prigione, sa bene che “ il passato non può essere cancellato”, e che la colpa delle tante vittime degli anni di piombo è anche sua.
Si parla anche di quel regista Antonello Bellucco il cui film sull’eccidio di Codevigo è stato boicottato, perché un eccidio compiuto dai partigiani «a Liberazione già avvenuta, ad armi già deposte», non deve essere conosciuto.
Fa rabbia la storia del giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Vicenza, Cecilia Carreri, ingiustamente accusata di aver leso il prestigio della magistratura. Ha dismesso la toga dopo il linciaggio mediatico per un congedo per disturbo depressivo curato in una traversata atlantica. Poi probabilmente perché dava fastidio la sua sete di giustizia (come quando era stata chiamata come testimone a tangentopoli), è stata eliminata, come capro espiatorio; lei vorrebbe ritornare a fare il giudice, la sua passione insieme alla vela: si affronta l’oceano, si è soli.
Risoluto anche Giovanni Serpelloni, medico e capo del dipartimento politiche antidroga della presidenza del consiglio dei ministri. Combatte Contro ogni tipo di droga.
Fa rabbia anche la storia di Antonello Zara, il padre di un tronista morto sotto una macchina; il padre lotta perché chi l’ha ucciso abbia la giusta condanna e non giri indisturbato.
Ancora le storie di un fotografo e di un architetto. Mario de Biasi, fotografo sempre in mezzo al pericolo, “la mia unica dote sul lavoro era che non avevo paura”. Inviato in Ungheria con l’occupazione russa, nel Vietnam, fra i terremoti; il primo assunto stabile da un rotocalco italiano “Epoca”, poi ha colto in immagine tanti personaggi del mondo dello spettacolo e della cultura. Riuscì a fotografare Ungaretti citandogli un verso delle “sabbie infuocate del deserto”; è anche l’autore della foto dell’amaro Ramazzotti della Milano da bere. Rodrigo Basilicati il nipote di Pierre Cardin, architetto tanto criticato anche dall’illustre Salvatore Settis, per lo sgangherato pallazzaccio del Palais lumiere “un raggio di luce nello sfacelo di una zona industriale”. Non ha avuto l’appoggio di nessuno tranne che dello zio, che lo avrebbe voluto pronto in fretta. Sarebbe il palazzo più alto di tutta Italia, meno visibile della ciminiera di Marghera, ma è molto difficile avere il permesso.
Ci sono le storie che colpiscono meno poi, forse perché fanno più rabbia, perché riguardano persone che possono essere considerate truffatori, e che si ritengono un po’ colpevoli. Armido Chiomento, iridologo, naturoigienista, non è un dottore, ma cura attraverso la natura e il cibo le malattie, senza però sostituirsi alla medicina ufficiale e al ruolo dei medici. Massimo Emilio Gobbi un regista, un po’ truffatore, e che cerca personaggi come Fabrizio Corona per i suoi film, e che racconta sempre un mucchio di frottole ma le persone gli credono.
Fabio Padovan un leghista, titolare della Otlav, sempre in guerra con lo Stato e presidente della Life libera imprenditori federalisti europei. È organizzatore delle ronde antifisco. Corrado Parmagnani colui che da tossicomane delinquente puttaniere ora con le mani cura e guarisce le persone, ma secondo lui è solo Dio che guarisce. Cura soprattutto depressione, solitudine, mancanza di spiritualità i mali contemporanei.

Le abbiamo raccontate tutte, la recensione è un po’ lunga e forse noiosa, ma almeno dà l’idea del mosaico che Lorenzetto ha voluto mostrarci; varie sfaccettature del genere umano, casualità o puro destino, passione , fede, spiritualità, ma anche materialità. Non manca nulla.

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