Il sapiente pieno di coraggio simbolo del premio al merito
Il filosofo greco rappresenta ancora oggi un esempio inimitabile di virtù morale. Ci ha insegnato a porci dubbi su tutto, ma anche a rispettare sempre le leggi
(di Cesare Lanza per LaVerità) Questa rassegna domenicale è riservata a personaggi importanti, che ho avuto la fortuna di conoscere direttamente. C’erano una volta, appunto: nati e vissuti nell’ultimo secolo. Qualche settimana fa vi ho detto che mi sarei concesso, sperando di non annoiarvi, due eccezioni: desideravo scrivere di miei due idoli, Diogene e Socrate, due grandi filosofi di un paio dì millenni fa. Ovviamente, non li ho conosciuti. Di Diogene (e della sua mitica lanterna alla ricerca di un vero uomo) vi ho già parlato: la mia ammirazione, per il suo caratteraccio e le sue battute impertinenti, è grandissima. Di Socrate, personaggio di impareggiabili valori morali, scrivo oggi, conuna coincidenza – per me – molto lieta.
Mercoledì a Roma, infatti, si terrà l’edizione 2018 del «Premio Socrate», un movimento di opinione, senza fine di lucro, che fondai alcuni anni fa, senza mezzi, per sostenere, almeno virtualmente, l’importanza del merito. Volevo fare qualcosa per valorizzare coloro che, nella vita d’ogni giorno e nelle attività di lavoro, si impongono per le loro qualità e i meriti personali. In un Paese che rischia di affondare nelle raccomandazioni, nelle spintarelle, nel costume corrotto dei cittadini poco validi, che riescono a prevalere su quelli meritevoli, come si dice, grazie (scusate l’espressione volgare, ma popolare ed eloquente) a ben assestati calci in culo. Ogni anno, così, premiamo personaggi che si siano distinti per i loro meriti, nei settori più vari della società.
Nel 2017, a Milano, il Premio andò a Urbano Cairo, Letizia Moratti, Ernesto Pellegrini, Ernesto Mauri, Maria Bianca Farina, Leila Golfo, Andrea Cornelli e Carlo Clavarino. Quest’anno, avrò il piacere e l’onore di consegnare il premio al ministro Paolo Savona, il professore più forte di qualsiasi polemica, all’intramontabile Gianni Letta, alla presidentessa dell’Enel Patrizia Grieco, a Massimo Moratti presidente dell’Inter più vincente di ogni tempo, a Gaetano Miccichè banchiere senza macchia e attuale leader della Lega calcio di Serie A, al famoso chef Claudio Sadler, all’ambasciatore italiano in Cina Francesco Ettore Sequi, a Marina Cicogna apprezzata in tutto il mondo, all’imprenditore Gian Angelo Perrucci simbolo del successo di italiani all’estero, a Fabio Angelo Gritti che guida – partito da zero – una primaria azienda di Bergamo e a Fabio Cairoli, amministratore delegato di Lottomatica. L’introduzione, su Socrate e il valore del merito, sarà fatta dalla scrittrice Alessandra Necci, ben nota (non solo) ai lettori della Verità. La maggior curiosità del pubblico, probabilmente, riguarderà il ministro Savona: il suo nome e stato al centro dell’attenzione generale durante le tormentate trattative per il nuovo governo. Le voci lo ipotizzavano come ministro dell’Economia, poi Savona è entrato comunque nella compagine governativa.
Ma chi era, Socrate? Per spiegare perché ho scelto lui come simbolo del premio per il merito, lascio la parola innanzitutto ad alcune autorevoli opinioni. Aristotele ha detto: «Socrate riteneva che la conoscenza della virtù fosse il fine e indagava che cosa fosse la giustizia, il coraggio, e ciascuna virtù. Per lui era tutt’uno conoscere la giustizia ed essere giusto». Senofonte: «In ogni circostanza, in ogni maniera, Socrate fu di tanta utilità che chiunque prenda in esame la sua condotta, s’accorge chiaramente che niente giovò quanto stare insieme a lui e spendere il proprio tempo con lui. Anche il ricordarlo quando non era presente, giovava a tutti: la sua compagnia era di utilità sia quando scherzava, che quando faceva sul serio».
E ancora: «Socrate giudicava la bontà di una persona dal fatto cheapprendeva facilmente ciò a cui si dedicava, ricordava quel che aveva imparato e divulgava tutti quegli insegnamenti che permettono di amministrare bene urta casa, una città… Non si comportava con tutti allo stesso modo: a quanti diprezzavano l’insegnamento, poiché si ritenevano ben dotati per natura, faceva capire che le nature apparentemente migliori hanno estremo bisogno di educazione. Come i cavalli, diceva, tra i quali i più generosi, che sono impetuosi e violenti, se vengono domati da piccoli, riescono quanto mai maneggevoli e ottimi. Se restano indomati, non si possono reggere e non hanno nessun pregio… Diceva che era pazzo chi credeva di discernere le cose utili e le dannose senza studiare».
E lui? Ecco alcune frasi che mi piacciono molto e mi sono rimaste sempre in mente. «Una vita senza ricerca non è degna di essere vissuta». «Io non posso insegnare niente a nessuno, io posso solo far pensare». «E sapiente solo chi sa di non sapere, non chi s’illude di sapere e ignora cosi perfino la sua stessa ignoranza). «Ho gettato via la mia tazza quando ho visto un bambino che beveva al ruscello dalle proprie mani» (qualcosa di molto simile è stato detto anche da Diogene). «Più gente conosco, più apprezzo il mio cane» (e su questo concordo particolarmente). «Non dalle ricchezze, ma dalle virtù nasce la bellezza». «Il saggio non si espone al pericolo senza motivo, poiché sono poche le cose di cui gl’importi. Ma è disposto, nelle grandi prove, a dare perfino la vita, se a certe condizioni non vale la pena di vivere» (e, come vedremo, lo ha dimostrato). «Sono un cittadino, non di Atene 0 della Grecia, ma del mondo» (idem Diogene). «L’invidia è l’ulcera dell’anima» «Il difficile non è evitare la morte quanto evitare la malvagità, che ci viene incontro più veloce della morte»
Socrate era nato ad Atene, il 470 a.C. Era figlio di uno scultore, Sofronisco, e di una levatrice, Fenarete. Aveva un aspetto definito satrapesco: era basso, rozzo e brutto. Dapprima seguì il mestiere del padre, successivamente lo abbandonò per dedicarsi esclusivamente all’indagine filosofica. Poche notizie sono rimaste sulla sua vita familiare, tranne che per la moglie Santippe, ricordata come una donna bisbetica e petulante. Si dice che Socrate passasse molto tempo nelle strade anche per starle lontano (da Santippe ebbe tre figli). Frequentava gli ambienti culturali più vivaci di Atene, il circolo di Pericle, i fisici, i medici, i poeti; ammirava le tragedie di Euripide. Nel decennio tra il 432 e 0 422 partecipò come oplita (procurandosi a sue spese – secondo le leggi del tempo – l’armatura) ad alcune vicende guerresche, distinguendosi per eroismo (trasse in salvo Alcibiade ferito).
Gli opliti erano i soldati della fanteria pesante, nell’antica Grecia. Socrate non aspirava alla diretta partecipazione alla vita politica, ma non aveva timore di esprimere opinioni personali controcorrente e di mettersi in posizioni mal viste dai potenti di turno. Nel 404 era al potere l’oligarchia dei Trenta (definita il governo dei «Trenta Tiranni»), Socrate rifiutò di arrestare e far condannare a morte un loro avversario, Leone di Salamina. Nel 403, pur salvato da un’amnistia, fu considerato un uomo ostile e pericoloso dal nuovo governo.
Nel 399 fu presentato da Meleto un atto di accusa contro Socrate, tra i suoi accusatori c’erano anche Licone e soprattutto il potente Anito. Gli accusatori speravano probabilmente che Socrate scegliesse l’esilio volontario come altri avevano già fatto. Lui no, non abbandonò la città e preferì sottopose al processo. Si dimostrò come sempre imperturbabile, con serena e ironica fermezza. Si contrappose puntigliosamente alle accuse, ma non volle invocare la clemenza dei giudici. Anzi irritò i cinquecento atenoedi chiamati a decidere e fu dichiarato colpevole. Fu invitato, secondo la procedura, a indicare, opponendosi alla pena chiesta dall’accusa, quella che pensava di meritare. Macché: rispose che, per ciò che aveva fatto alla città, credeva di dover essere mantenuto a spese pubbliche.
L’esecuzione della sentenza fu ritardata quasi di un mese: Socrate avrebbe avutol’opportunità di accogliere il progetto di fuga, che il discepolo e amico Critone gli sottoponeva, quasi ognigiorno. Preferì concludere la sua vita con un ultimo gesto di rispetto verso quelle leggi e le istituzioni, per lui sacre e intoccabili, che era stato accusato di trasgredire. Morì dunque, ad Atene, nel 399 a.C., in carcere: secondo il celebre racconto di Platone, circondato dagli amici e dai seguaci. Dopo aver discusso della morte e dell’aldilà, bevve serenamente la cicuta. Eppure gli accusatori e gli stessi carcerieri avevano lasciato condizioni assolutamente semplici e facili per la fuga, se Socrate avesse voluto.
Era fiero di «sapere di non sapere», un nemico dell’autorità e delle intransigenti arroganze: tutto poteva, e doveva, essere messo in discussione. Un amico di Socrate, Cherofcnte, chiese all’oracolo di Delfi: «Chi è l’uomo più sapiente della Grecia?» E il responso fu «Socrate». Ma il filosofo era scettico sulla sua «sapienza», preferiva cercare la ragione delle cose, andare per le strade di Atene facendo domande alle persone («che cos’è l’amore?», «che cos’è l’amicizia?», «che cos’è la giustizia?»…). Lo faceva sempre, e instancabilmente, fino a diventare quasi fastidioso: molti ateniesi cominciarono, per questo, a chiamarlo «tafano», pungente come un insetto. Ed é comprensibile: i valori e il confronto sono, dovunque, fastidiosi. Tengono impegnata la coscienza. Ma la buona coscienza prevale. Perciò gli insegnamenti di Socrate restano invincibili, anche se inimitabili: tutto può essere contestato e discusso e messo in dubbio, ma la legge comunque va rispettata, anche a costo di accettare la condanna a morte.